Ricostruzione di una storia familiare: Ferdinando Annunziata e sua moglie Carolina Breglia negli anni del brigantaggio post-unitario.

Annunziata Antonio Ferdinando nacque il 30 giugno 1839 a Nola (Na) dal “vaticale” (trasportatore di merci con carro trainato da buoi) Michele Arcangelo e Grazia Annunziata.[1] Fece il “pizzicagnolo” e, insieme ad altri familiari, vendeva prettamente prodotti gastronomici provenienti dal suo territorio d’origine. Dopo la morte del padre, intorno al 1863/64, il suo lavoro lo portò a trasferirsi a Montesano insieme alla madre ed al fratello Antonio. Molto probabilmente fu grazie ad alcuni amici del luogo se Ferdinando proprio in quel periodo incontrò la “filatrice” padulese Maria Carolina Breglia, una donna di undici anni più grande di lui e conosciuta in paese con il soprannome di “Calotte” (o Culotte). Maria Carolina era nata il 20 febbraio 1828 dal “pellaro”, “pellettiere” ossia “conciatore di pelli” Vincenzo Breglia e da Maria Caolo, che all’epoca abitavano alla strada “Palazzo” ed avevano avuto già altri quattro figli: Lunalba nata il 7 settembre 1816[2]; Pasquale il 27 febbraio 1819[3]; Michele Arcangelo Antonio il 17 luglio 1821[4] e Mariangela Rosa l’11 ottobre 1823.[5] Vincenzo Breglia era un artigiano, che lavorava e conciava pelli di animale in una piccola bottega che si trovava nel rione San Giovanni, poco lontano dall’abitazione di alcuni parenti che, invece, facevano i sarti.[6] Dopo circa un anno dalla nascita di Carolina, però, l’uomo morì, lasciando la moglie con cinque figli da accudire[7], tutti tra i 2 ed i 12 anni.

Il 16 novembre del 1865 Carolina e Ferdinando si sposarono nella chiesa di San Michele Arcangelo e fu il sacerdote Giovanni Caputo, all’epoca economo curato della chiesa madre, ad unirli in matrimonio davanti ai testimoni Don Paolo Arato e Don Giovanni Coscia. Circa dieci giorni dopo l’assessore Michele Vecchio, delegato agli atti dello stato civile, registrò il documento nei registri comunali, aggiungendo che la madre di Ferdinando fu impossibilitata a venire a Padula e dovette dare il “consenso”, in base a quanto prevedeva la legge, tramite un atto notarile che la donna fece rogare dal notaio Angelo Greco di Montesano.[8]

Dopo il matrimonio, Ferdinando e Carolina abitarono a Padula alla via S. Prisco nella casa che fin dal 1821 era stata la residenza della famiglia Breglia, ubicata nei pressi del mulino di proprietà della famiglia Santelmo e non lontana dall’abitazione di Antonio Annunziato, fratello di Ferdinando, che all’epoca faceva il “carrettiere” ed abitava alla via Sant’Eustachio. In quella casa vivevano anche Mariangela (sorella di Carolina) con il marito Giovanni Giuseppe D’Amato e la loro piccola figlioletta Maria Luisa Sabina.[9]

Maria Carolina e i suoi fratelli, oltre alla casa, avevano ereditato dal padre anche alcuni piccoli appezzamenti di terreno che si trovavano lungo la strada che da Padula portava verso Montesano, precisamente nelle zone di “Ciciriello” e “Tempa della Cisterna”. Erano loro stessi ad occuparsi dei lavori nei campi cercando, a fatica, di ricavarne qualche guadagno. Ma non era facile conseguirlo, nonostante i tanti sforzi, viste le antiquate tecniche agricole utilizzate. Per migliorare le condizioni finanziarie della famiglia nell’estate del 1867 Ferdinando fece richiesta del passaporto e del “visto” per poter emigrare. Inviò i certificati richiesti presso le autorità competenti, in particolare quello che accertava il fatto che fosse in possesso del “congedo illimitato”. Il 18 ottobre di quell’anno fu il sindaco di Padula Giovanni Santelmo a sollecitare il Comandante Militare di Salerno ad evadere la richiesta fatta da Ferdinando, ricevendo una risposta affermativa in quanto il visto gli era stato concesso insieme a quelli di altri tre uomini di Padula, che partirono poco tempo dopo per l’Egitto.

Si rimettono le domande, corredate del certificato modulo n°126, per permesso di passaporto per l’Egitto di:

  1. Bianco Cono,
  2. Mangieri Francesco,
  3. Mugno Pasquale Angelo e
  4. Annunziata Ferdinando”.[10]

Con la partenza di Ferdinando, Maria Carolina, che aveva ben chiaro che la lontananza da suo marito non sarebbe durata poco tempo, continuò a lavorare saltuariamente come bracciante agricola ed anche come “filatrice”. Aveva promesso al suo consorte che si sarebbe avvalsa dell’aiuto dei familiari presenti in paese in caso di necessità, anche se le sue speranze erano riposte nel fatto che di li a qualche mese sarebbero arrivati i primi proventi dall’Egitto, frutto della nuova attività lavorativa di Ferdinando.

La famiglia Breglia aveva sempre dimostrato il suo attaccamento alla monarchia borbonica, sia prima che dopo l’Unità d’Italia. Nel 1857, ad esempio, fu “l’Alfiere” Giovanni Breglia a denunciare i liberali di Padula coinvolti nell’organizzazione della spedizione di Sapri,[11] mentre dal 1861 in poi molti dei suoi esponenti divennero “manutengoli” e referenti di fiducia prima del capobanda Angelantonio Masini e, successivamente, di Giuseppe Cianciarullo, Nicola Marino e Giuseppe Padovano. Tra questi il sacerdote Nicola Breglia, che insieme ai fratelli Giovanni (l’Alfiere del 1857), Pietro e Armida furono “sempre pronti a provvedere i briganti di abiti fatti, di viveri e ricoveri”.[12] Spesso il sacerdote e suo fratello utilizzavano le donne di famiglia per non destare sospetti, affidando loro il compito di ospitare di nascosto briganti e brigantesse. Tra le raccomandazioni c’era anche quella di non agitarsi e non esporsi troppo in caso fossero arrivati i Carabinieri con la Guardia Nazionale per perquisire la casa, che spesso aveva introvabili nascondigli costruiti appositamente per permettere ai briganti o di fuggire da un’uscita secondaria o di rimanere al sicuro senza essere trovati. A volte Giovanni Breglia e suo fratello Nicola fecero custodire la refurtiva derivante da ricatti e rapine ad Armida, la quale si avvalse dell’aiuto di nipoti ed amiche fidate per garantire la sicurezza ed alzare un muro protettivo, fatto di silenzi ed omertà, intorno alla famiglia.

Anche Maria Carolina fu ingaggiata spesso dai suoi parenti per svolgere alcuni di questi compiti e non ci mise molto la notizia ad arrivare all’orecchio del Delegato di Pubblica Sicurezza Leopoldo Picari. Il funzionario di Polizia la fece sorvegliare insieme alla sorella Mariangela e, dopo alcune denunce a loro carico esposte al Pretore di Padula, le annotò per la prima volta il 1 settembre 1872 sul “Registro delle persone sospette”. All’epoca Maria Carolina aveva circa 45 anni ed insieme a Mariangela, che ne aveva qualcuno in più, furono considerate entrambe essere da molto tempo “in intimità con le più note manutengole dei briganti”. Inoltre, dalle indagini risultò che spesso erano state viste “introdurre furtivamente in casa degli indumenti”, che lavavano e riportavano in montagna per consegnarli freschi di bucato ai briganti.

I rapporti che Maria Carolina Breglia aveva con i briganti erano noti a tanti in paese, al punto che qualcuno segnalò il fatto che la donna attraverso le sue “losche relazioni” avesse avuto beneficio economico migliorando il suo status. In parte fu merito anche dei soldi inviati dall’Egitto dal marito Ferdinando, che dopo l’inaugurazione del canale di Suez nel 1869 rientrò a Padula per qualche mese. Ma di questo le autorità non ne tennero conto e continuarono a svolgere indagini e perquisizioni per cercare di cogliere Maria Carolina in flagranza di reato, convinti del fatto che il suo nuovo e migliorato “status” economico provenisse da proventi illeciti. Intanto, dopo qualche mese, Ferdinando fece di nuovo richiesta del visto per emigrare all’estero e tra il 1871/72 salpò dal porto di Napoli per raggiungere le Americhe, lasciando di nuovo sola Carolina.

Senza testimoni certi e prove concrete ai Carabinieri ed al Delegato di Pubblica Sicurezza non rimaneva altro che far sorvegliare la casa e gli spostamenti della donna, sulla quale era concreto il sospetto che avesse “introdotto furtivamente” i briganti in casa. Il tempo e la caparbietà di alcuni funzionari militari stanziatisi a Padula in quegli anni portarono il Pretore di Padula a sporgere denuncia contro la donna il 20 aprile 1873. Da quel momento fu attivata una sorveglianza quasi giornaliera su Maria Carolina che, dopo circa due anni e vari incontri con il Delegato Picari, fece richiesta del visto per il passaporto in modo da raggiungere il marito in America. Sembra, però, che Carolina non riuscì ad ottenere il visto e nel 1876 si trovava ancora a Padula, quando fu di nuovo riammonita dal Pretore, che, questa volta, la costrinse a presentarsi nell’ufficio del Delegato di Pubblica Sicurezza il 21 maggio ed il 14 settembre di quello stesso anno per essere interrogata. L’anno dopo, il 4 agosto 1877, arrivò l‘ennesima ammonizione che la vedeva ancora nelle vesti di “manutengola e sostenitrice dei briganti”, gli ultimi oramai a rappresentare un mondo che stava cambiando.

Non è chiaro se Maria Carolina ebbe modo di rivedere suo marito, l’unica fonte certa è che morì a Padula il 12 aprile 1913 nella casa sita alla strada Giulio Cesare Lagalla n°10. Aveva 85 anni e, stranamente, sull’atto di morte fu registrata come una “domestica nubile”.[13]

di Miguel Enrique Sormani con la collaborazione di Michele Cartusciello per la parte genealogica. (riproduzione riservata)

_____le fonti_____

[1] Stato Civile Comune di Nola, registro nati anno 1839, atto n°234. Arcangelo Annunziata all’epoca aveva 39 anni e sua moglie 34. I due vivevano nel “sobborgo di Piazzolla”, poco lontano da Nola.

[2] Stato Civile Comune di Padula, registro nati anno 1816, atto n°177

[3] Stato Civile Comune di Padula, registro nati anno 1819, atto n°62

[4] Stato Civile Comune di Padula, registro nati anno 1821, atto n°122. Si annota che all’epoca la famiglia abitava alla strada San Prisco.

[5] Stato Civile Comune di Padula, registro nati anno 1823, atto n°195. Si annota che all’epoca la famiglia abitava alla strada San Prisco.

[6] Tra questi Gaetano Breglia, “sarto e possidente” terriero, che sposò Mariangela Beatrice ed ebbe anche ruoli importanti nell’amministrazione Comunale dal 1817 in poi.

[7] Vincenzo Breglia era nato intorno al 1789 dal conciatore di pelli Pasquale Breglia e da Lunalba Maio. Stato Civile Comune di Padula, registro morti anno 1829, atto n°126

[8] Stato Civile Comune di Padula, registro matrimoni anno 1865, atto n°43

[9] Giovanni Giuseppe D’Amato nacque l’11 marzo 1826 dal bracciante Antonio D’Amato e da Luigia Bianco che abitavano alla strada Sotto l’Orti. (Registro nati 1826, atto n°54). Faceva il “fabbricatore” (muratore) e sposò Mariangela Rosa Breglia il 10 dicembre 1859, da cui,  il 21 ottobre dell’anno successivo, ebbe un figlia che chiamarono Maria Luisa Sabina. (Registro matrimoni anno 1859, atto n°73 e Registro nati nel 1860, atto n°245). Giovanni aveva un fratello di nome Michele, che emigrò in Egitto per lavorare alla realizzazione del canale di Suez.

[10] Registro corrispondenza del sindaco di Padula, anni 1867-1869.

[11] Giovanni Breglia nel 1857 era un Alfiere dell’esercito borbonico. Era tornato in licenza a Padula il 9 giugno e, attraverso le informazioni che riuscì a reperire da alcuni cittadini padulesi, denunciò i liberali locali accusandoli di “aver fatto discorsi che facevano intendere la loro relazione con i rivoltosi”. In ASS, Proc.Pol. Buste 201 e 202

[12] Sul sacerdote Nicola Breglia ed i suoi fratelli è in atto un lavoro di ricerca da parte di Miguel Enrique Sormani

[13] Registro morti anno 1913, atto n°25.

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