Operai al lavoro per la costruzione del canale di Suez.

Sotto le stelle d’Egitto: una storia poco conosciuta sull’emigrazione padulese di fine ottocento.​

La storia che segue è ambientata nel periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, prima che si sviluppasse il fenomeno di massa dell’emigrazione verso le Americhe. È una storia nuova e mai raccontata, che parla di una “colonia di padulesi” trasferitasi in Egitto dal 1864/65 al 1873/74 per lavorare alla realizzazione del canale di Suez.

Uomini che partirono per partecipare alla costruzione di una delle opere più importanti di quei tempi, la cui realizzazione suscitò molte discussioni su giornali e riviste specializzate dell’epoca, sia a favore che contro il progetto.[1] Vissero sicuramente un’esperienza nuova, soprattutto se immaginiamo come poteva essere la loro vita quotidiana in un piccolo centro dell’entroterra e, molto probabilmente, la raccontarono ai propri familiari attraverso lettere oppure una volta tornati a casa, corredandola, anche con foto ricordo scattate sul cantiere, per le strade cittadine oppure sui cammelli con le dune sabbiose come sfondo. Ma, sulla base delle ricerche svolte, sembra che non esista nessuna immagine, seppur sbiadita, che immortali quell’esperienza e che non si sia conservato neppure il ricordo di questa vecchia storia. Il motivo potrebbe essere nel fatto che fu un fenomeno migratorio che si racchiuse in un periodo di tempo molto breve (circa 10 anni) e non fu neppure un’esperienza tanto positiva per molti dei cittadini padulesi che partirono verso Est alla ricerca di fortuna.

Le prime tracce e la ricerca di fonti archivistiche.

Le prime informazioni sulla colonia di padulesi emigrati in Egitto le ho rintracciate in modo casuale, nello studiare alcuni documenti riguardanti la lotta al brigantaggio post-unitario. L’interesse principale della ricerca cui stavo lavorando si basava sull’individuazione di informazioni riguardanti Angelo Maria Trotta, un cittadino di Padula che tra il 1864 e il 1865 si presumeva essere complice di una delle bande di briganti presenti sulle montagne del Vallo di Diano e della vicina Basilicata. All’epoca Trotta aveva circa 50 anni e faceva lo scalpellino. Apparteneva ad una famiglia benestante, formata per lo più da artigiani della pietra e questo mi fece pensare al fatto che non aveva certo bisogno di affiliarsi ai briganti per guadagnare ed intascare soldi sporchi, quindi poteva essere stato confuso con un’altra persona e coinvolto ingiustamente dalle autorità di polizia. Ma poteva anche essere una delle tante persone insospettabili che, pur vivendo una vita tranquilla e all’apparenza lontana dalla politica, era rimasto fedele alla vecchia monarchia ed apparteneva al “comitato borbonico” sorto clandestinamente nel Vallo di Diano.

Ad aiutarmi a chiarire se le accuse a suo carico fossero fondate o meno sono state le dichiarazioni di alcuni testimoni ascoltati dai giudici all’epoca delle indagini, i quali sostennero con fermezza che Trotta si era affiliato alla banda comandata da Giuseppe Cianciarulo e nel mese di settembre 1865 partecipò ad un sequestro di persona nel territorio di Brienza (in Basilicata). A Padula, però, nessuno era a conoscenza del fatto che l’uomo avesse connivenze con il brigantaggio. Neppure gli amministratori avevano informazioni utili a riguardo e questo, molto probabilmente, consentì a Trotta di tornare in paese e muoversi liberamente nei giorni successivi al sequestro, tanto da avere anche il tempo di intascare la sua quota della taglia e farsi approvare il passaporto per emigrare. Non è facile stabilire come andarono le cose, l’unica certezza è che Angelo Maria Trotta si imbarcò a Napoli su una nave diretta ad Alessandria D’Egitto grazie al fatto di essere in possesso di un passaporto valido per l’espatrio, riuscendo a partire poco prima della condanna in contumacia a 20 anni di carcere, pronunciata a suo carico dal Tribunale Militare di Potenza nel mese di dicembre 1865. Angelo Trotta era un abile artigiano e non gli fu difficile trovare lavoro come operaio nella “Compagnie universelle du canal maritime de Suez”, ma la sua esperienza durò poco a causa delle <<utili informazioni>>> fornite alle autorità militari del Vallo di Diano da un altro padulese, che lo fece indentificare ed arrestare sul cantiere.

I documenti

Sono partito da queste poche informazioni per seguire le tracce della colonia di padulesi in Egitto e, consultando vari documenti conservati nell’Archivio di Stato di Salerno ed in quello del Comune di Padula, sono riuscito a risalire ad un gruppo ristretto di uomini. Importanti a tal fine, come accennato, sono stati gli atti dello Stato Civile, da cui ho ricavato gli stralci dei verbali di morte redatti dai sacerdoti in Egitto e trasmessi al Console italiano, su cui vengono riportati i seguenti nomi:

  1. Addubato Michele Arcangelo Vincenzo;
  2. Adubbato Michele;
  3. Adubbato Vincenzo;
  4. Alliegro Angelo;
  5. Alliegro Giuseppe;
  6. Annunziata Ferdinando;
  7. Arato Vincenzo;
  8. Basilio Antonio;
  9. Bianco Cono;
  10. Brigante Angelo;
  11. Cariello Pietro Feliciano;
  12. Chiappardi Michele;
  13. Coppola Mattia;
  14. D’Amato Michele di Antonio;
  15. D’Amato Michele di Vincenzo;
  16. D’Ambrosio Raffaele;
  17. Damiano Pasquale;
  18. Damiano Pasquale;
  19. De Stefano Antonio ed il figlio
  20. De Stefano Vincenzo;
  21. Dede Vincenzo di Antonio;
  22. Di Benedetto Francesco fu Luigi;
  23. Finamore Michele;
  24. Gallo – fratelli
  25. Guerra Giuseppe;
  26. La Cava Carmine;
  27. Mangieri Francesco;
  28. Mugno Pasquale Angelo;
  29. Mugno Raffaele ed il fratello
  30. Mugno Carmine;
  31. Ostuni Giovanni;
  32. Rizzo Giovanni;
  33. Trotta Michele Arcangelo Marco;
  34. Volpe Saverio ed il figlio
  35. Volpe Giuseppe;

Nei verbali, oltre all’indicazione dell’identità di quelli che morirono e, a volte, del luogo del decesso e del cimitero in cui furono sepolti, si rintracciano anche i nomi di altri padulesi che in quel periodo si trovavano a lavorare nelle varie città egiziane. Sicuramente furono molti di più quelli che partirono e bisognerebbe approfondire ancora per raccontare a pieno la loro esperienza. La breve storia che segue, quindi, vuole essere soltanto un primo passo ed uno stimolo per chi vorrà immergersi in questa ricerca e portare alla luce il ricordo di una storia d’emigrazione vissuta da alcuni nostri concittadini sotto le stelle d’Egitto.

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[1] Alcune informazioni in merito al ruolo e alle aspettative che l’Italia aveva sull’apertura dell’Istmo di Suez si trovano nei seguenti testi: “L’Italia e il Canale di Suez”: operetta popolare del professore di lingua araba Giuseppe Sapeto, Genova, 1865; nelle ricerche fatte nel 1858 da Di Luigi Torelli (Deputato al Parlamento Sardo e tra i maggiori azionisti e sostenitori dell’opera) dal titolo “Dell’avvenire del Commercio Europeo ed in modo speciale di quello degli Stati Italiani”, Vol. II, Firenze 1859; nel Giornale dell’Ingegnere-architetto ed agronomo, anno IV, Milano 1856-57.

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© Miguel Enrique Sormani – 2018