Luglio 1826: una delegazione scientifica di botanici attraversa il Vallo di Diano per raggiungere Cosenza.

Un “viaggio” di ricerca e le annotazioni sul Vallo di Diano

Nell’estate del 1826, una delegazione scientifica guidata dal botanico Michele Tenore, viaggiatore di grande esperienza e creatore dell’Orto botanico di Napoli, partì da Napoli per recarsi a Cosenza. Il gruppo era formato da Tenore ed altri due botanici, Luigi Petagna (forse fratello dell’antropologo, medico e botanico Vincenzo Petagna) e Giovanni Terrone, che dal 3 al 16 luglio affrontarono un viaggio di andata e ritorno per raccogliere campioni utili alle loro ricerche scientifiche “in alcuni luoghi della Basilicata e della Calabria Citeriore”.Il resoconto del “Viaggio” fu pubblicato l’anno dopo e, oltre al catalogo che elencava una lunga lista di piante, minerali ed insetti raccolti lungo il percorso, in esso si riportavano anche la descrizione del passaggio nel Vallo di Diano ed attente e preziose osservazioni paesaggistiche, economiche e sociali relative ai territori attraversati. Tra queste, quelle che più mi hanno colpito ed hanno portato a raccontare una parte di questo “viaggio scientifico”, sono state le osservazioni sulle condizioni in cui versava la Certosa e quella sui costumi, le usanze e la bellezza della popolazione locale, in particolare delle contadine.

Michele Tenore

La partenza ed il viaggio di andata.

Partita il 3 luglio 1826 da Napoli alle prime luci dell’alba, la delegazione scientifica iniziò il suo viaggio attraversando <<quella parte della provincia del Principato Citeriore che, per la strada consolare, mena a Salerno>>. Nel capoluogo sostarono poco tempo prima di incamminarsi verso la Piana del Sele, ma ebbero modo di annotare sul loro diario che la città aveva una bella <<passeggiata pubblica>> ed era <<decorata di diversi nuovi palazzi>>, tra cui primeggiavano << il Teatro, il palazzo dell’Intendenza (oggi sede dell’amministrazione provinciale) e diverse fabbriche sulla spiaggia>>. Da Salerno raggiunsero Battipaglia e poi Eboli, da dove si incamminarono sul <<nuovo braccio di strada comunale>> per arrivare a Campagna. Attraversarono boschi di querce, di ulivi e terreni coltivati prima di sostare per qualche attimo << sulla vetta dello Scorzo>>, da dove la strada scendeva verso il Comune di Auletta, sede <<dell’osteria solita a dar ricovero ai viaggiatori ed ai vetturini che vi riposano il secondo giorno del loro viaggio da Napoli>>.

Il mattino dopo, di buon’ora, la spedizione risalì il ponte di <<Campestrino>>, paragonando quella solida costruzione, <<che si ripiegava ben cinque volte prima di guadagnare la sommità della montagna>> al tratto più elevato della salita del <<Mont-Cenis>> (valico alpino tra Francia e Italia). Era quello il loro primo ingresso nel Vallo di Diano, che quel mattino si presentava agli occhi dei tre studiosi ricoperto dalla caratteristica nebbiolina alzatasi dal fiume <<Negro>>, quasi a voler nascondere, seppur per poco tempo, la vista dei paesi sparsi alle falde dei monti. Seguendo la strada consolare, quegli uomini non poterono fare a meno di notare <<l’antica e famosa iscrizione>> incastonata in un muro <<dell’Osteria di Polla>>, ma non ebbero il tempo di approfondire perché dovevano arrivare al più presto in Calabria e si impegnarono a leggerla quando sarebbero rientrati a Napoli durante il viaggio di ritorno. Oltre alla “lapis Pollae”, testimonianza della strada romana che da Capua portava a Reggio Calabria, lungo il tragitto i tre studiosi notarono altri resti di un antico passato, raccomandando all’attenzione degli <<Archeologi queste contrade>>.

Gli appunti di viaggio.

Nelle loro osservazioni e descrizioni della vallata, i botanici registrarono il sensibile contrasto che esisteva tra le due catene montuose che la circondavano, <<giacché tutti quelli che occupano il lato nord-est sono calvi e spogliati di ogni vegetazione, mentre quelli dell’opposto lato sud-ovest sono rivestiti di folti boschi>>. Poi annotarono sul loro diario di viaggio il fatto che i proprietari del luogo coltivavano per lo più grano e cereali e che vi erano vasti e numerosi uliveti soprattutto nelle vicinanze dei centri abitati. Il resto della vallata era <<coperto dal grano>> e l’immagine che si manifestò agli occhi dei tre viaggiatori fu la seguente: Il sole elevatosi sull’orizzonte vibrava i suoi raggi sull’immenso mare di spighe, che dal soffio dé zeffiri agitate, e dalla preceduta brina inumidite, scintillanti appaiono per viva luce che ne riverbera. Ma più di tutto i tre ricercatori notarono le <<copiose acque>> che vi affluivano e ristagnavano <<in pestiferi fossi>>, utili soltanto a contribuire all’infezione dell’aria.

Il passaggio della spedizione scientifica nel Vallo di Diano durò complessivamente una mezza giornata e nel tragitto da Polla a Padula i tre uomini ebbero modo di incontrare diverse persone, tra cui alcune contadine del luogo intente nel lavoro nei campi, così descritte:

<<A volere giudicare dalle contadine che si vedono sparse per queste campagne, la specie del Vallo di Diano sarebbe piuttosto piccola, e non la più bella. Frattanto le donne di Sala, Polla e Padula hanno reputazione di regolarità di forme, di bellezza e vivacità. Esse hanno foggia di vestire particolari, soprattutto per le gonne, che amano di sovraccaricare di pieghe, il cui incomodo peso cercano di alleggerire mentre lavorano, sorreggendole con altra legatura, che stringono intorno alla cintura e che accresce il cattivo effetto della loro vestitura. Da molti lacci cingono le pettine, ed il giustacore, cui possono legar le maniche a volontà.

Poco felice, e molto meno decente è la conformazione che danno al seno, non curando di sorreggerlo e ricoprendolo appena. Generale è l’usanza di caricarsi il capo di enormi pesi, la qual cosa deve contribuire ad instupidire le facoltà mentali, e vieppiù decimare le forze fisiche di quel debole sesso>>.

Un giudizio non certo esaltante sulle donne del Vallo di Diano, tranne che per quelle di Sala, Polla e Padula che furono considerate più carine delle altre, ma che ci è utile per mettere in rilievo quel mondo rurale della prima metà dell’ottocento dedito al duro lavoro nei campi ed abbruttito dalla povertà, dalle superstizioni e dalla mancanza dell’istruzione necessaria per poter lavorare e vivere meglio.

Una pausa nella “taverna diroccata”.

Al miglio 78 della consolare si trovava la diramazione che portava a Padula e le mura della Certosa non erano troppo lontane, ma anche questa volta i tre uomini promisero di rifermarsi a visitare il Monastero durante il viaggio di ritorno, continuando, intanto, a seguire la strada verso Casalbuono. In questa zona del Vallo di Diano gli studiosi notarono che gli abitanti <<che percorrevano i campi>> erano diversi sia nell’aspetto fisico che <<nell’agio maggiore di vivere>> rispetto ai contadini incontrati fino a quel momento. La causa era legata ad una migliore qualità del suolo ed una <<maggior facilità>> di coltivazione rispetto ai contadini che abitavano le zone paludose. <<Le eleganti costruzioni, che si vedono costruite sopra Padula, non meno che quelle che si vanno man mano incontrando, chiaro dimostrano gli effetti dei citati vantaggi>>.

Tra le eleganti costruzioni non inserirono quella che si trovava al miglio 81, dove la consolare incontrava le strade che, diramandosi, portavano a Montesano e Buonabitacolo. In quel luogo, chiamato Al Tumusso, sorgeva un’osteria che fu quasi distrutta e bruciata durante gli eventi del 1820/21, ma che un contadino di Sassano tutti i giorni cercava di mantenere in vita per  ricavarci un guadagno, <<stabilendo tra quei ruderi un’ambulante officina, che suol servire di ristoro ai vetturini e viandanti>>. La delegazione decise di proseguire ed arrivò a Casalbuono, dove cercarono una locanda per mangiare e riposare. Purtroppo non riuscirono a trovarla e, molto probabilmente, dovettero tornare alla taverna che avevano superato sotto Padula.

“Molto avremmo gradito di prender a Casalnuovo qualche ristoro, ma nulla questo villaggio presenta per ricovero e conforto dei viaggiatori. Ci attende invece sul piano una disperatissima osteria (forse il rudere gestito dal contadino di Sassano), che offre almeno come dissetarvi e liberarvi dal penoso stimolo della fame”. Mangiarono quel poco che l’oste offriva e si fermarono per circa un’ora a riposare, dopodiché, nel riprendere il viaggio, notarono che nei dintorni crescevano degli alberi particolari, alcuni dei quali spesso confusi con il cerro. Raccolti dei campioni, i tre uomini partirono di nuovo alla volta di Casalbuono, per poi raggiungere Lagonegro e dirigersi verso la Calabria.

 

La delegazione scientifica rientra a Napoli.

Dal 4 all’11 luglio la delegazione scientifica attraversò molti paesi e fece escursioni sul Pollino e sul monte Cucuzzo per trovare e catalogare piante, minerali ed insetti, incontrando molte persone, che accolsero con gentilezza i tre studiosi di botanica e li aiutarono, spesso facendo da guide, nelle ricerche. Ripartiti la mattina del 12, dopo tre giorni esatti, Michele Tenore, Luigi Petagna e Giovanni Terrone erano oramai alle porte del Vallo di Diano e da Lagonegro, dove si erano fermati per un’ultima escursione sul monte Sirino, si apprestavano ad attraversare di nuovo tutta la vallata fino a Polla.

Ma si erano ripromessi di far visita al Monastero dei certosini e <<così, proseguendo facilmente il cammino, giungiamo a Padula alle ore 10:30. Cogliendo l’opportunità della vicinanza dell’insigne Certosa di San Lorenzo, lasciata la consolare, dopo il miglio 82, prendiamo la traversa che, per esser letto di un piccolo torrente e perciò ingombra di grossi ciottoli, è estremamente incomoda>>.

La visita alla Certosa di San Lorenzo.

Nonostante il percorso impervio, dovuto a delle frequenti esondazioni del fiume Fabbricato, dopo una mezz’ora di cammino i tre botanici arrivarono ad una taverna, sita nei pressi del bivio che divideva la strada che saliva a Padula da quella che portava all’ingresso della Certosa. Furono accolti nei locali della foresteria da uno dei monaci addetti al ricevimento degli ospiti, che li condusse dal Priore, Padre Don Dionisio Cacace, e poi, nella visita al Monastero. Da subito fu chiaro ai loro occhi che quella <<immensa struttura>> era rimasta abbandonata per molto tempo e, dopo il breve colloquio con il Priore, seppero anche che fu saccheggiata di molte opere d’arte da parte delle truppe napoleoniche e che, negli anni, c’erano stati grossi danni alla <<Chiesa ed alla parte di Convento che serviva da ricovero per i monaci>>. Questi ultimi erano stati mandati via definitivamente dal Monastero durante il decennio francese (1807), ma erano riusciti a rientrare in possesso della struttura dopo il ritorno dei Borbone con il Concordato del 1818, anche se spogliati, o quasi, di ogni possedimento.

I tre botanici furono contenti del fatto che quell’importante struttura fosse tornata in possesso dei monaci, gli unici che <<potevano salvarla dalla totale rovina cui in gran passi si avanza>> e vollero annotare sul loro diario di viaggio che sarebbe stato vantaggioso istituire un <<Orfanotrofio>> all’interno del Monastero, cosa che avrebbe garantito nuovi introiti e la possibilità di una più completa ristrutturazione. Ma, nonostante i consigli e gli sforzi , il Priore ed i monaci non riuscirono mai più ad assumere il ruolo centrale nella vita socio-economica del territorio.

Prima di congedarsi, i tre studiosi visitarono la Chiesa, il <<cellaio>> ed il Refettorio. Furono i monaci Padre Don Benedetto De Cameli e Padre Don Diodato Maseti a guidarli nel “giro, dove poteroro osservare <<l’ingegnoso lavoro di tarsia di cui erano adorni i due Cori>> realizzato dallo scultore <<Giovanni Ingallo nel 1507>> e le <<officine>>. Fu chiaro che queste ultime (il cellaio ed il Refettorio) un tempo <<sfoggiavano più sontuoso lusso>>, mentre <<al presente mal si confanno con il modo di vivere di questi anacoreti, restituiti alla frugalità della loro prima religiosa istituzione>>. Salutati i monaci, la delegazione scientifica tornò sulla strada consolare e riprese il cammino per Napoli, portando con se’ gli appunti di un viaggio che, a distanza di circa duecento anni, ancora genera curiosità ed interesse anche per il suo taglio non esclusivamente legato alla botanica.

© Miguel Enrique Sormani


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2 Comments
  1. Francesco VITOLO

    Sono un Padulese residente in Toscana in provincia di Pisa nel paese di Casciana Terme Lari.
    Mi è piaciuta molto questa bellissima storia di questi viandanti studiosi Petagna,Terrone e Michele Tenore,
    Sono un innamorato della Storia di Padula e così ho letto questa bellissima
    Storia di quasi duecento anni fa, ringrazio di cuore,gli amici Lastoriadipadula.it vostro compaesano Francesco Vitolo. 15/1/2019.

    • La storia di Padula

      Buongiorno Signor Francesco
      e grazie mille per l’apprezzamento dato all’articolo.

      Spero continuerete a seguire le storie che racconterò.

      Un saluto
      Miguel Enrique Sormani

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