Michele Arriola: il giudice del Mandamento di Padula che nel 1864 fu tra i primi in Italia a rivendicare l’indipendenza della magistratura dal potere politico.

premessa
Con la Legge n°680 del 6 luglio 1862 il Governo italiano istituì in ogni provincia le Camere di Commercio e delle Arti, dando per la prima volta al paese un’organizzazione omogenea in cui le “Camere” territoriali erano deputate a “rappresentare presso il Governo e a promuovere gli interessi commerciali e industriali” della circoscrizione di competenza.
La legge prescriveva anche che entro il 31 ottobre di quell’anno tutte le monete di rame in uso negli Stati preunitari non potevano più essere ricevute dalle casse pubbliche, mentre i privati potevano rifiutarsi di accettarle e commerciare con chi ne possedeva. Ma i termini assegnati furono insufficienti e con un nuovo decreto, stilato l’8 maggio 1864, si decise di prorogarli fino al 31 agosto di quell’anno.
In base a queste disposizioni, solo le casse pubbliche erano inibite nel ricevere le vecchie monete dopo questa data, i privati, invece, rimanevano “nella libera facoltà delle loro contraddizioni di riceverle, o rifiutarle”, senza nessuna pena o sanzione a riguardo.
L’autorità politica provinciale, rappresentata dal Prefetto che “sopraintendeva all’osservanza delle leggi e a prevenire i reati”, (Art.5 della legge dell’8 gennaio 1861) nell’interesse della pubblica sicurezza aveva il potere di far affiggere manifesti e di stilare regolamenti in merito alle disposizioni emanate dal Governo, ordinando anche le pene di polizia da applicare in caso di contravvenzione (Art.18 della stessa legge). Ma questo, a volte, poteva determinare dei contrasti con il potere giudiziario, “chiamato a sindacare sulla forma costituzionale di un decreto o regolamento particolare e a rifiutarne l’applicazione quando lo trovava in controsenso della legge generale sancita dal legittimo potere”.
La storia che segue, che ha inizio nell’ ottobre del 1864 a Padula nei giorni in cui si svolgeva l’antica fiera di San Brunone (dall’1 al 5 ottobre), rappresenta un caso di contrasto tra il potere politico e quello giudiziario. E’ stata ricostruita grazie ad un articolo pubblicato sulla “Gazzetta dei Tribunali per gli anni 1864-1865”, in cui, oltre alla sentenza del giudice mandamentale di Padula Michele Arriola, la cosa che più ha destato interesse è stata la postilla inserita a margine della stessa, che dava un encomio al “Giudice di Mandamento: al quale ogni massima lode vuole essere retribuita per aver rivendicato la gloria dell’indipendenza assoluta della magistratura dal potere politico/amministrativo”.
Fu una delle prime volte in Italia, dopo l’Unità nazionale, che il risultato di una sentenza rivendicasse l’autonomia dei giudici rispetto alle scelte fatte dal Prefetto: e questa sentenza fu proprio il giudice di Padula ad emetterla il 3 dicembre 1864.

L’applicazione dell’ordinanza del Prefetto di Salerno.
I primi di ottobre del 1864, precisamente nei giorni in cui a Padula si teneva l’antica Fiera di San Brunone (dall’1 al 5 ottobre), una pattuglia di carabinieri intenti al servizio di ordine pubblico fermarono e controllarono molte persone. I militari, guidati dal maresciallo Cappelletti, oltre all’incarico di vigilare sull’andamento della fiera e di prevenire possibili liti o furti alle baracche di legno allestite appositamente per accogliere le tante persone che accorrevano a comprare vari tipi di merce dal Circondario, in quei giorni dovettero controllare anche le monete che si stavano usando negli scambi commerciali. Quest’ultima incombenza era stata apposta sul manifesto fatto pubblicare il 16 agosto di quell’anno dal Prefetto di Salerno, il Conte Cesare Bardesono di Rigras, con il quale, oltre a rendere nota la scelta del Governo di prorogare i termini dell’utilizzo del vecchio conio fino al 31 agosto, (legge dell’8 maggio 1864) “elevava a contravvenzione di polizia l’uso della vecchia moneta che i cittadini facessero oltre tale data”.
In base alle disposizioni ricevute, i carabinieri multarono una cinquantina di persone nei giorni della fiera, tra cui Michele Tepedino ed altri padulesi, rei di aver “spacciato monete di rame dell’Ex Governo Borbonico”. A tutti furono sequestrati i soldi in loro possesso, che furono inviati prontamente al “Giudicato di Padula” insieme ai verbali di contravvenzione.
Ad occuparsi della pratica fu il giudice di Mandamento Michele Arriola, che nel giro di pochi giorni verificò con accuratezza i verbali ed anche alcuni particolari emersi all’interno delle deposizioni rilasciate.
Il giudice Michele Arriola nell’udienza del 3 dicembre 1864: “Causa a carico di Tepedino Michele ed altri 49 imputati”.
Letti i verbali ed ascoltate alcune delle persone che erano state multate dai carabinieri, nel giro di qualche giorno il giudice stilò il suo giudizio e dichiarò “incostituzionale” il manifesto fatto pubblicare dal Prefetto di Salerno il 16 agosto, in particolare per quanto riguardava le contravvenzioni che proibivano ai privati l’uso della moneta di rame posta fuori commercio. “Ciò non significa invadere il potere amministrativo o esecutivo ed essere irriverente”, scrisse il giudice Arriola, ma subito dopo volle comunque sottolineare e mettere in chiaro il fatto che “all’autorità giudiziaria era “confidato il palladio della libertà del cittadino, nell’applicare la legge ed infrenare l’eccesso del potere amministrativo (art.68 e 73 dello Statuto)”.
Fermo su questa posizione, il giudice ricordò che l’uso della moneta messa fuori corso legale non era punita neppure dal codice penale vigente e ribadì ancora l’incostituzionalità del manifesto perché proibiva ed elevava a reato un atto che la legge aveva autorizzato tra privati. Lo considerò un atto che derogava espressamente dal disposto dell’art.5 del Decreto del 6 luglio 1861, violando così la libertà del cittadino e causando il “restringimento del commercio privato”.
Alle motivazioni giuridiche, sempre ben dettagliate dal punto di vista dei riferimenti legislativi, Michele Arriolla aggiunse anche una postilla in cui si chiese quale fosse stato il fine che si era proposto il Prefetto facendo ordinare le contravvenzioni, aggiungendo poi il suo parere e sottolineando che il manifesto non fu certo “troppo lodevole per far scomparire ogni segno della passata Dinastia”.
Stando alla legge dell’8 maggio 1864 ed al fatto che era un atto legittimo tra privati fare uso della vecchia moneta dopo la data del 31 agosto di quell’anno, il Giudice dichiarò che il fatto attribuito agli imputati non era considerato dalla legge come contravvenzione e sospese ogni procedimento contro di loro, ordinando di “restituirsi ai medesimi il denaro a ciascuno sequestrato”.
Un gesto forte e coraggioso, che destò l’ammirazione dei curatori della rivista La “Gazzetta dei Tribunali” in cui fu pubblicarla e meritò un singolare encomio, forse tra i primi in Italia, che merita di essere riportato integralmente.
L'encomio al giudice Michele Arriola
“Questa sentenza è meritissima di ogni encomio, tanto maggiormente che è resa da un Giudice di Mandamento, al quale ogni massima lode vuole essere retribuita, siccome con ogni spontaneo coscienzioso convincimento veniamo adempiendo.
Per quanto ci sia pervenuto a conoscenza, non ci ha Collegio giudiziario, e molto meno un giudice pedaneo in queste province meridionali, che abbia dato non dubbio argomento di coraggio civile per impugnare e resistere agli atti del potere esecutivo, che in qualsiasi maniera non fossero conformi, o facessero mal governo delle sanzioni inviolabili della legge, costituente il diritto comune. La sola Cassazione di Milano ha dato l’esempio di codesto coraggio civile, cotanto necessario, che rivendica la gloria della indipendenza assoluta della magistratura, e mantiene inalterate la sua sublime missione e le sue nobili prerogative. L’arresto di quel Supremo Consesso fu da noi riferito in questo periodico. La Cassazione di Milano ha trovato egregio riscontro ed imitamento nel giudice pedaneo, che rendeva la sentenza che rapportiamo.
Che cosa è un giudice mandamentale a rimpetto di un Prefetto della provincia? E pure, codesto Giudice con l’ausilio della legge Statutaria dello Stato, e con le sanzioni del diritto comune, dinegò ogni valore giuridico alla potestà del moderatore provinciale che non si trovava in armonia con il diritto inviolato del cittadino!
Egregiamente bene, signor Giudice Arriola! Voi avete aggiustato un diritto innegabile alla pubblica estimazione: voi avete manifestato che sentite nell’animo l’altezza della nobile missione e della indipendenza della magistratura; voi avete dato esempio di coraggio e di saper civile, che se trovasse molti imitatori, le guarentigie sociali, le liberali istituzioni, gli ordinamenti costituzionali, la libertà del cittadino non avrebbe a temere giammai di essere soverchiati dall’arbitrio prepotente e da soprusi che fossero conculcatori dello Statuto costituzionale e del diritto comune.
Signor Arriola, Sume superbiam quaesitam meritis, io non vi conosco né so chi siete, ma per questa sentenza voi solo nell’ultimo scalino della magistratura siete a pari di un Consesso Supremo di Cassazione”.
Firmato: T.P.
© Miguel Enrique Sormani



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