Un “progetto particolare” del 1820: un “Orfanotrofio per ragazzi” nella Certosa di San Lorenzo di Padula.
La storia della Certosa di Padula fu interrotta dalla rivoluzione e dalla guerra. La lotta delle monarchie napoleonidi e del liberalismo al regime feudale e al ruolo politico-fondiario della Chiesa ne cambiò ruolo e funzioni a partire dall’inizio del XIX secolo, ponendo fine al suo splendore e al suo potere. La nuova storia iniziò con la soppressione del complesso monastico, accompagnata dalla perdita di gran parte dei beni mobili ed immobili durante il Decennio francese (a seguito del decreto eversivo di Giuseppe Bonaparte del 1807). Si chiuse definitivamente, dopo una riapertura, con le leggi ecclesiastiche del nuovo stato italiano nel 1866/67.
Questo articolo intende contribuire alla ricostruzione della plurisecolare storia della Certosa di Padula, utilizzando un documento archivistico inedito, frutto di un complesso lavoro di ricerca attualmente in corso presso l’Archivio di Stato di Napoli, ad opera di Dario Marino, del Dottorato di Studi Letterari, Linguistici e Storici dell’Università di Salerno. Lo ringraziamo per averlo voluto condividere. Si tratta del “Progetto particolare per le Provincie di Salerno, Basilicata e Cosenza” , una petizione politica ricca anche di informazioni sul monastero certosino e sull’abitato di Padula.
Il documento è successivo al ritorno dei monaci dopo il Concordato del 1818 e diretta conseguenza della rivolta carbonara del luglio 1820. Nel Vallo di Diano questa finì per intercettare i forti contrasti che esistevano oramai da più di un ventennio tra i liberali ed i borbonici. Così, dopo la concessione della Costituzione e l’istituzione del Parlamento Nazionale, alcuni rappresentati della carboneria locale eletti in incarichi amministrativi proposero un piano per sbarazzarsi dei monaci ed istituire nel monastero un “Orfanotrofio per Ragazzi”.
Il “Progetto particolare” fu presentato nell’autunno del 1820 da un cittadino di Sala di nome Gaetano Provenzale, all’epoca uno dei deputati eletti nel Consiglio Provinciale di Salerno in rappresentanza dei Comuni che componevano il Distretto di Sala, che lo propose al Parlamento Costituzionale, dettagliandolo con precise descrizioni del monastero e dei luoghi limitrofi. È la prima volta in assoluto che un documento archivistico ci informa dell’esistenza di un progetto risalente addirittura al 1820 per riutilizzare la Certosa, solo dopo appena due anni dal rientro dei monaci. Una testimonianza molto importante, perché permette di osservare ed approfondire il carattere di scontro politico che da decenni (se non molto oltre) marcava la relazione tra i certosini e una parte importante dei gruppi politici locali.
Per parlare della proposta di dar vita ad un “Orfanotrofio per ragazzi” all’interno della Certosa di Padula bisogna partire dai primi giorni del mese di luglio di quell’anno, quando in tutti i Comuni del Vallo di Diano i membri delle vendite carbonare locali diedero inizio alla rivolta in sostegno dell’insurrezione liberale, iniziata a Napoli da Michele Morelli, Luigi Menichini e Giuseppe Silvati, seguita dall’ammutinamento di buona parte dell’esercito guidato dal generale Guglielmo Pepe. La rivoluzione costrinse il re Ferdinando I, tutt’altro che liberale, a redigere un editto reale per la pubblicazione della Costituzione.
A Padula la rivolta iniziò la mattina del 7 luglio, capeggiata dal sindaco Raffaele Cavoli e sostenuta da Michele Netti, Matteo Buonomo, Giovanni Vecchio, Francesco Forte ed altre persone, tra cui il sacerdote Angelo Maria Finamore, arciprete di Padula. Proprio lui fece cantare il Te Deum nel momento in cui furono lette le garanzie costituzionali. Molti di loro facevano parte del gruppo di amministratori del Comune già da qualche anno ed erano stati chiamati spesso a ricoprire le più alte cariche all’interno del decurionato (sindaco, 1° eletto, 2° eletto, etc.), ed erano bene consapevoli dei contrasti con i certosini.
La mattina dell’8 luglio furono tra i circa 2000 uomini del Vallo di Diano che presero parte al raduno che si tenne sotto gli ordini dei Gran Maestri e dignitari locali, nel luogo denominato “giocatore”, presso Sala. Diedero vita ai tre battaglioni di “legionari” destinati a partire per Salerno e ad altri due che dovevano fungere da riserva e garantire la tranquillità e sicurezza nel Vallo di Diano in caso di reazione da parte dei borbonici. Gran parte di quegli uomini provenivano da famiglie rafforzatasi nelle amministrazioni locali e nell’esercito durante il decennio francese, pertanto chiedevano, in contrapposizione al Governo accentratore dei Borbone, di avere una rappresentanza e partecipare alla vita amministrativa del regno.
Il successo dei moti costrinse il re alla proclamazione della Costituzione a Napoli. Si passò ad eleggere il Parlamento, il primo che l’Italia avesse mai avuto, che rappresentava gran parte delle forze che erano scese in campo. L’Assemblea risultò essere composta da ottantanove eletti, per lo più professionisti, intellettuali, magistrati, possidenti e preti, con una buona percentuale di uomini dell’esercito. Durante il breve periodo Costituzionale, oltre all’elezione del Parlamento furono indette anche le elezioni per rinnovare gli organi nelle amministrazioni comunali, distrettuali e provinciali.
Nel Distretto di Sala, di cui faceva parte Padula, si elessero sia i Consiglieri locali che quelli destinati a Salerno come rappresentanti in seno al Consiglio provinciale. Tra questi ultimi figurava anche Gaetano Provenzale di Sala, componente molto attivo della carboneria locale, che durante il raduno dell’8 luglio 1820 fu posto a capo di uno dei plotoni di volontari che partirono per Salerno. In alcuni documenti processuali, stilati negli anni successivi a suo carico in merito ai giorni della rivolta nel Vallo di Diano, è testualmente citato che Provenzale “arrivato allo Scorzo con la colonna di insorti che comandava insieme a Giuseppe D’Andrea di Sant’Arsenio, incontrò un gendarme a cavallo che gli diede la notizia della concessione della Costituzione fatta dal re, così non proseguì il cammino con il suo plotone e rientrò nel Vallo di Diano”. Successivamente fu eletto nel Consiglio Provinciale insieme a Vincenzo Parisi di Polla, mentre Saverio Arcangelo Pessolani di Atena, altro importante riferimento politico, fu eletto come Deputato nel Parlamento napoletano.
Anche a Padula si erano tenute le nuove elezioni, sia per eleggere i Deputati al Parlamento che i Consiglieri Provinciali e Distrettuali, ma in paese “non vi erano proprietari che avevano i requisiti e la possidenza richiesta dalla legge”, quindi si poté procedere soltanto alla nomina di tre cittadini di Padula in seno al Consiglio Distrettuale e votare altri candidati dei Comuni limitrofi. Una volta delineati ed insediati i nuovi assetti amministrativi ad ogni livello, i carbonari del Vallo di Diano si mobilitarono utilizzando l’inedito contesto di libertà politica e civile. A testimoniarlo, tra le altre cose, è proprio il “Progetto particolare”. Fu presentato come un programma per utilizzare in maniera più produttiva e, soprattutto, socialmente utile, l’immensa struttura della Certosa che all’epoca era abitata soltanto da pochi monaci, tra l’altro avversi alla Costituzione.
Il progetto, a mio avviso, quasi sicuramente fu ideato dagli amministratori padulesi, viste le dettagliate informazioni contenute al suo interno sul paese e sugli interni della Certosa. Molto probabilmente fu proprio il sindaco Raffaele Cavoli ad utilizzare i suoi riferimenti e contatti a livello locale, provinciale e nel Parlamento napoletano per mettere in campo la proposta di realizzare un Orfanotrofio e mandare via nuovamente i certosini. A sostenerlo, oltre allo stesso Gaetano Provenzale che presentò il progetto prima a Salerno e poi a Napoli, ci furono anche altri padulesi, repubblicani e filo napoleonidi, che fin dal 1799, che avevano subito ripercussioni ad opera dei certosini, pagando spesso con il carcere e la perdita di beni.
Nel mese di marzo 1821, con il tradimento del re Borbone e l’invasione austriaca finiva la rivoluzione costituzionale del Regno delle Due Sicilie. Nell’ultima seduta del Parlamento i deputati presenti scrissero la seguente protesta: << Noi protestiamo contro la violazione del diritto delle genti, intendiamo di serbar saldi i diritti della nazione e del Re, invochiamo la saviezza di S.A.R. e del suo augusto genitore e rimettiamo la causa del trono e dell’indipendenza nazionale nelle mani di quel Dio che regge i destini dei monarchi e dei popoli>>. Invece l’occupazione militare austriaca portò al ripristino del governo assolutistico dei Borbone, con la condanna al carcere o all’esilio di una generazione di uomini che aveva chiesto la Costituzione. Tra questi, c’era l’arciprete padulese Finamore che morì nelle carceri borboniche, dove fu seguito da tantissimi liberali del Vallo di Diano e del suo paese.
Il progetto dell’Orfanotrofio fu dimenticato, anche se l’idea di trasformare la Certosa in un luogo utile più per la popolazione locale che per i monaci rimase ancora per molti anni nei programmi del movimento liberale padulese. A testimoniarlo, insieme ad altri documenti, il lungo discorso fatto da Filomeno Padula la mattina del 5 maggio 1863 in apertura di un Consiglio comunale che doveva deliberare in merito alla <<soppressione della Certosa di San Lorenzo>>, che avvenne definitivamente tre anni dopo. Ma questa è un’altra storia.
© Miguel Enrique Sormani (riproduzione riservata)


